QUEEN II, 1974
(Sì, l’originalità dei titoli degli album di quegli anni è sorprendente!)
Quindi, QUEEN II è diviso in due: la prima parte, quella bianca, è composta da Brian, la seconda, quella nera, è composta da Freddie. Nel mezzo, Loser In The End, canzone di Roger dedicata a una mamma, forse la sua: “She washed and fed, and clothed and cared for nearly twenty years. And all she gets is ‘goodbye Ma'”.
Procession, che apre l’album, è un brano strumentale che ricorda, come da titolo, una processione e che può essere considerato parte dell’introduzione della successiva Father To Son che, a sua volta, finisce sulle prime note di White Queen (As It Began).
Una regina bianca – che probabilmente non ha più sangue blu della sottoscritta – a cui Brian non è riuscito a dichiararsi: “My goddess hear, my darkest fear, I speak too late. It’s for evermore that I wait”. La canzone ha due lunghe strofe che partono sommesse e si concludono nel culmine di un crescendo. Non si può di certo dire che, fino ad ora, i Queen si siano ridotti alle solite ripetizioni di strofa-ritornello-bridge. Anzi.
Il White Side si conclude con un brano cantato interamente da Brian, sul quale si può tranquillamente soprassedere (Some Day One Day), tranne, forse, per l’assolo.
L’altro lato presenta orchi, fate, ninfe e chi più ne ha più ne metta. Freddie si sfoga in grandi composizioni complesse, come dirà in un’intervista: «In quell’album abbiamo fatto tali e tante cose fuori norma che la gente ha cominciato a dire: “Merda autoindulgente, troppi cori, troppo di tutto”.»
Iniziamo proprio dagli orchi, con Ogre Battle. Il riff di chitarra tende all’hard rock più pesante, al metallo che vide la luce proprio in quei primi anni ’70. Siccome è risaputo che i Queen, in quegli anni, non usavano i sintetizzatori (lo hanno dovuto scrivere sui booklet), è bene raccontare che l’inizio di Ogre Battle, alquanto strano, è stato ottenuto mandando all’incontrario il finale del brano, mentre i suoni “da battaglia” li ha estratti Brian dalla sua mitica Red Special – alla quale, vedrete, gliene ha fatte fare tante in carriera.
Nevermore, invece, è una piccola perla incastonata nella grande e fastosa corona della Regina. Un minuto poco più di dolcezza e sofferenza. Pianoforte e voce, da soli, in contrasto fortissimo con le maestose canzoni che precedono e seguono.
The March Of The Black Queen è la progenitrice della celeberrima Bohemian Rhapsody. Questa Regina, a differenza di quella bianca, sarà anche di sangue blu, ma non è nobile, almeno per quanto riguarda l’animo: è volgare, incantatrice e meschina. La canzone è una bomba glam di 6 minuti, tutti da godere.
Il finale della marcia regale è, senza soluzione di continuità, l’inizio di Funny How Love Is. Canzone che esula dallo stile glam dell’album. Sembra una canzonetta di Natale, con tanto di sonagli. E non è mai andata giù ai fan. Perciò, se volete essere veri very fan, non dovreste apprezzarla nemmeno voi. (Ma come canzone natalizia dovreste tenerla in considerazione!)
Seven Seas Of Rhye, ripresa da QUEEN, chiude magnificamente l’album, sfumando in una canzone inglese molto popolare (tra gli inglesi, chiaramente): I Do Like to Be Beside the Seaside. Seven Seas, e soprattutto la sua introduzione al pianoforte, diventerà famosa grazie anche alle esibizioni dal vivo. Oltre al fatto che parla dei sette mari di Rhye.
E dove sarà mai questo Rhye? Se siete curiosi di saperlo, esiste Google, se invece preferite immaginarlo… be’, credo che questo fosse l’intento di Freddie: lasciarci indovinare e immaginare.