L'Aquila dopo il terremoto

Tornando dalle vacanze in Abruzzo, ho capito che sarebbe stato un peccato non sfruttare il viaggio per passare da L’Aquila, perché si sa come vanno queste cose: “la visiterò un’altra volta” solitamente si trasforma in un’occasione mancata. È stata una toccata e fuga, giusto un’oretta, non di più ma sono stati minuti corposi, pesanti, che sono già sedimentati in qualche posto non precisato di me.

Mi è stato insegnato il valore del fare memoria e ritengo che ciò sia ancor più necessario in un periodo storico così frenetico come quello in cui viviamo, un tempo in cui ciò che è stato il giorno prima diventa scolorito e lontano, quasi fosse accaduto cent’anni prima. Per questo sento il bisogno di fermare sulla carta quello che è passato attraverso i miei occhi, affinché ciò che si è depositato in qualche angolo sperduto di me non resti solo lì ma possa essere trasmesso a chi avrà la voglia di arrivare in fondo a questo post.

Lungo Corso Vittorio Emanuele II, poco prima del suo incrocio con Piazza del Duomo si trovano dei portici. Lì c’è un bar, ormai chiuso, che ha attratto subito il mio sguardo: il suo portone è sommerso da centinaia di post-it, che hanno invaso anche il muro circostante. Incuriosita, mi sono avvicinata e sul foglio bianco posto proprio al centro della porta ho letto questo:

POST-IT come si fa in casa, quando si vuole ricordare qualcosa da fare il giorno dopo, da tenere a mente, qualcosa di importante. Per noi l’importante è la ricostruzione.
Basta il vostro nome e cognome e una… parola “Amarcord” (che vuol dire in dialetto romagnolo “io mi ricordo”) da appiccicare sulla vetrina del bar del Commercio ancora intatta.
Questo è infatti un luogo di tante memorie e tanti appuntamenti.

Vorremmo riportare all’attenzione dell’Italia la nostra città, i piccoli centri distrutti e dimostrare che dopo il terremoto, abbiamo perduto il tempo e lo spazio… ma non la speranza.

Che tu sia un viaggiatore, un turista, un aquilano, uno straniero, un curioso… lascia qui il tuo post-it.
Grazie.
Patrizia Tocci

Ecco, ciò che state leggendo è il mio personale “amarcord” de L’Aquila vista attraverso i miei occhi.

Il rumore di ogni passo tra le strade completamente vuote è stata una martellata che si è piantata dritta nell’anima. I negozi sono quasi tutti chiusi, alcuni al loro interno hanno ancora gli oggetti che vendevano prima di quel 6 aprile 2009, altri solo brandelli di muro a ingombrare i pavimenti. E poi le finestre aperte delle case oramai senza più padrone e le loro porte, da cui puoi spiarne l’intimità da tempo violata. E le catene a serrare altre porte, queste sigillate al contrario delle prime… chissà se tornerà mai qualcuno a dar loro voce… E ancora le “zone rosse”, interdette ai passanti fugaci che calpestano i sanpietrini, e i puntellamenti di ferro che imbrigliano la quasi totalità degli edifici, ognuno dei quali è stato numerato progressivamente dopo i controlli di agibilità.

Un paio di bar aperti, il vociare proveniente da alcuni cantieri edili, i discorsi sussurrati dei turisti composti sono gli unici elementi che danno alla città un barlume di normale vita quotidiana. Per il resto è silenzio. Non già quel silenzio che profuma di pace e riposo. No, è un silenzio triste e assorto, simile a quello che i visitatori dei cimiteri hanno il timore di infrangere.

Sono passati più di tre anni da quella notte del 6 aprile 2009, ma non è ancora tempo di rassegnarsi all’idea che L’Aquila sia stata solo “amarcord”: “ten bota, L’Aquila!”.

Guarda l’infografica relativa al terremoto de L’Aquila