THE MIRACLE, 1989
È forse questo il miracolo di cui si parla nel titolo? Oppure si riferisce al fatto di essere tornati a registrare insieme, dopo tutti quei progetti da solisti: Brian May si mise a produrre addirittura Anita Dobson e Roger Taylor aveva messo su una band, The Cross, con la quale nell’88 registrò SHOVE IT. Ma l’unico che riscosse davvero successo fu Mercury che, con la soprano spagnola Montserrat Caballé, coronò il sogno di una vita (“I had this perfect dream, this dream was me and you”) e lo consegnò alla storia sotto forma di BARCELONA. La storia ricambiò, e la title track dell’album venne scelta come inno delle Olimpiadi di Barcellona ’92 – anche se Freddie non visse abbastanza a lungo da potersi godere il momento.
Oppure… «Il primo titolo provvisorio dell’album THE MIRACLE era THE INVISIBLE MAN. […] Penso sia stato Roger il primo a obiettare: “Su, dai, il titolo non va!”. Così abbiamo deciso di cambiarlo. C’era una canzone intitolata The Miracle, e abbiamo pensato che ci avrebbe rappresentato bene. Dunque il titolo è diventato THE MIRACLE. Naturalmente un sacco di gente avrà pensato che noi riteniamo le cose che facciamo dei miracoli, ma uffa! Se vogliono pensarla così, facciano pure. In fondo, altro non è che il titolo di una canzone dell’album.»
Party e Kashoggi’s Ship sono due canzoni, ma è come fossero una sola: parlano di feste entrambe e anche la musica è quasi senza soluzione di continuità, ma non mi hanno mai fatta esaltare, come altre di quest’album, e al contrario di I Want It All.
Una canzone famosissima, qualche anno fa è stata usata anche in uno spot di qualche carburante che non mi ricordo (ma tanto era una cover della MerQury Band). Nonostante questo, I Want It All è molto bella: un hard rock che ti fa esaltare, grazie a una Red Special ispiratissima e aggressiva, e che ha al suo interno un intermezzo vocale, con un botta e risposta tra Brian e Freddie, e un raddoppio della velocità, con ripresa del ritornello nel finale.
Direbbe la Sandrelli: bellabellabella*respiro*bellabellabella.
The Invisible Man, invece, è più sperimentale. Intanto, per come è nata (da un campionamento), e per l’assolo di Brian, che sembra aver rubato i suoni a un videogioco – di quelli di una volta, eh. Durante il pezzo, poi, si possono sentire dei messaggi subliminali (finalmente!), ma sono solo i nomi dei quattro. Un vero peccato!
Se infine il brano vi ricorda qualcosa, vi dico io cos’è: Ghostbuster!
Breakthru anche questa è di quelle che ti prende parecchio, come avevo già detto da qualche parte – credevo qui, ma forse no – il testo non dice “fuck you” ma “if I could only reach you”. Che c’è? Io, ad esempio, avevo capito male.
Il video, l’unico che i Queen hanno registrato completamente in esterna, è uno dei più emozionanti ed è stato girato su un treno in corsa, chiamato Miracle Express. La bionda che vi compare è Debbie Leng, la compagna di Roger di allora – chiamatelo scemo.
Rain Must Fall e My Baby Does Me sono le altre due canzoni che non mi convincono del tutto. Sì, sono orecchiabili, carine, ma niente più. Scandal, per me, è già diversa. Anche perché il testo potrei averlo scritto io: parla – in modo molto critico – della stampa scandalistica: “Scandal – now you’ve left me all the world’s gonna know. Scandal – they’re gonna turn our lives into a freak show”.
Was It All Worth It, come I Want It All, è un grandissimo pezzo rock – con intermezzo, stavolta, “sinfonico” –, ma in più ha, se volete, il testo. La band, attraverso la voce di Freddie, si chiede: “Was it all worth it, giving all my heart and soul, staying up all night, living breathing rock’n’roll this never ending fight?” Tradotto, si chiede se se n’è valsa la pena di farsi un mazzo tanto. E la risposta è quella che vorremmo poter dire tutti, quando tiriamo le somme di qualcosa: “Yes, it was a worthwile experience!”.
Sì, ne è valsa la pena, ma i Queen, attesi per tre anni dai fan, non intrapresero il tour promozionale per l’album e le supposizioni sulle condizioni di salute di Freddie iniziano a correre.