Con Geoffrey Rush e Sylvia Hoeks. Candidato a 13 David di Donatello.
Jacques de Vaucanson fu un illuminato inventore del XVIII secolo presso la corte francese, celebre per la creazione di mirabolanti automi ancora oggi non superati per versatilità. Ed è un presunto suo automa il fil rouge dell’ultima opera di Giuseppe Tornatore, La migliore offerta.
In un complesso ingranaggio si dipana un intenso e perfettamente cadenzato thriller che ci riporta ai tempi de La sconosciuta.
Siamo a Roma e Virgil Oldman, freddo e calcolatore battitore d’asta, si ritrova a confrontarsi con una giovane donna problematica e dal passato – e presente – alquanto oscuri e tormentati. Virgil ormai è avanti con l’età e, inaridito dalla solitudine, ritrova la sua umanità solo al confronto con le grandi opere del passato e in particolare con i grandi ritratti femminili.
La storia dell’incontro tra due anime che sono diventate chiuse e sterili dai rispettivi passati e la graduale scoperta di sentimenti assopiti, evolve parallelamente alla scoperta di ingranaggi che ricompongo un automa di Vaucanson – meravigliosa riproduzione di un umano – e come l’automa dovranno fare i conti con il rapporto tra realtà e sua riproduzione.
Tornatore costruisce un intenso e misterioso thriller psicologico dalla doppia lettura.
La prima, quella più evidente, sui rapporti umani, sui rapporti di fiducia e sul sentimento intergenerazionale.
La seconda lo avvicina invece all’ultimo cinema di Kiarostami che già ci aveva presentato con il suo Copia conforme il tema del rapporto tra arte e realtà, tra la riproduzione della realtà e la realtà stessa, sicuramente con appiglio meno filosofico e forse più disincantato e amaro.
I protagonisti, un meraviglioso Geoffrey Rush (premio Oscar per Il discorso del Re) e una magnetica Sylvia Hoeks, duettano in maniera convincente e affascinante, aiutati da una fotografia a dir poco perfetta (l’ultima scena meravigliosa) e dalla colonna sonora del Maestro Morricone.