I topi della cucina, cui piaceva molto ballare al ritmo dei colpi che i raggi di sole battevano sui rubinetti, correvano dietro alle bollicine formate dai raggi che si andavano a spegnere per terra, come spruzzi di mercurio giallo.
Scrive Boris Vian in un passo de La schiuma dei giorni: surreale romanzo che ha dato origine a Mood Indigo (titolo internazionale de L’Écume des jours), la nuova avventura cinematografica di Michel Gondry.
Mood Indigo ovvero una colossale occasione mancata
La schiuma dei giorni è un libro del 1947, caratterizzato da una narrazione difficile, surreale, densa di metafore, immagini, richiami filosofici. È il mondo di Vian, la sua critica al conformismo, alle mode imperanti, al consumismo, alle armi. Con un linguaggio surreale e innovativo che richiamava il contemporaneo Queneau (che gli amanti del cinema francese ricorderanno come autore del libro che ha ispirato Malle e la sua Zazie), Vian capovolge la realtà, la trasforma in fiaba e attraverso quella sferra i suoi attacchi al limite del cinismo.
Tutti noi che conosciamo il regista francese di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (mi rifiuto di ricordarlo con il terribile titolo italiano Se mi lasci ti cancello) o L’arte del sogno, conosciamo anche il suo grado di onirismo, le sue “macchine” e creazioni cinematografiche, la capacità di costruire letteralmente un piccolo mondo spesso creato con un delizioso ingenuo infantilismo negli effetti speciali, ormai quasi un tratto distintivo.
Di sicuro è il caso quindi di dire che l’incontro tra il mondo fantastico di Vian e quello altrettanto fantastico di Gondry – e con un cast importante che coinvolge Audrey Tautou, Omar Sy e Romain Duris – non potrebbe che promettere un piccolo gioiello. Almeno nelle aspettative.
Diciamo subito che Gondry ha tentato quasi pedissequamente di ricreare il nonsense e il surrealismo di Vian, ricorrendo ad artifizi che pescano a piene mani nella stop motion del ceco Jan Švankmajer, nell’amara comicità di Jacques Tati e nella stessa Zazie di Malle.
E così tra topolini, scarpe dotate di vita propria, anguille, piatti che si compongono e si scompongono da soli, auto trasparenti, personaggi dal linguaggio privo di significato, si perdono tutti i punti di riferimento tradizionali.
Dalla prima scena di Mood Indigo, il nonsense, il neologismo, il surrealismo spinto agli eccessi, fino ad un cinismo critico e severo, la fanno da padroni e ci si sente subito aggrediti da un mondo totalmente inverosimile, in cui non si riesce a inserirsi e quasi se ne viene rigettati, rimanendone spettatori distaccati. E da qui qualcosa di profondo si rompe irrimediabilmente, trasformando il film in una colossale occasione mancata.
Gondry ha esagerato, questo è. Nell’ottica di voler rendere Mood Indigo il più possibile fedele al testo letterario, dà la sensazione di dimenticare che lo strumento cinematografico potrebbe risentire dell’eccesso di irrealtà e non riesce a mantenere quel precario equilibrio stilistico, rendendo il film caotico, eccessivo, disturbante, confusionario. Le tante, troppe trovate visive e linguistiche, i ritmi serrati, i cambi repentini di registro, schiacciano e stritolano gli attori, rendendo così tanto faticoso seguire la trama da sfociare nella noia.
Lo spettatore non riesce a diventare complice divertito di questa libera fuga della fantasia. C’è una sorta di egocentrismo del film che, soffermandosi sui propri divertiti giochi, sembra quasi disinteressarsi di arrivare a comunicare a chi assiste: mancano i tempi e mancano quegli appigli, quelle chiavi, che chi guarda Mood Indigo potrebbe usare per interpretare e capire il film (e restarne coinvolto).
E così la critica sociale – allo sfruttamento del lavoro, alla vendita di armi, alle religioni, al conformismo intellettuale – rimane, purtroppo, solo rumore di sottofondo.
C’è da dire che ogni scena, ogni trovata, presa singolarmente come piccolo quadro, come cortometraggio, funziona, diverte, stupisce; la fotografia perfetta e la stop motion serrata regalano momenti che oserei dire da annali. Il problema sta nel mettere tutto insieme. A quel punto crolla tutto miseramente, in un guazzabuglio visivo e linguistico che perde purtroppo quella magia che tutti ci saremmo auspicati.