Difficile per chi è cresciuto con le favole tradizionali Disney avvicinarsi alle nuove favole in computer grafica (conosciuta come CGI) senza un minimo di pregiudizio per il linguaggio legato più ad altri tipi di narrazioni ad animazione. E diventa ancora più difficile se la prima esperienza, Rapunzel, è stata un film dai dubbi esiti e The Brave, seppur più propriamente Pixar, troppo distante da quella magia che da Biancaneve fino a Mulan ha riempito personaggi e favole.
Frozen, liberamente ispirato alla favola della Regina del Ghiaccio di Hans Christian Andersen, può essere visto come il primo vero tentativo della Disney dell’era Lasseter di riprendere quella narrazione interrotta con Mulan e Tarzan, e recuperata con scarsi risultati con La Principessa e il Ranocchio (che a me francamente piacque): un grande musical ad animazione, nuovi personaggi, principesse, principi, pupazzi, magia… gli ingredienti ci sono tutti e sono conditi con un disegno moderno, con quella computer grafica che ormai (purtroppo) ha sostituito definitivamente il disegno tradizionale, relegandolo a linguaggio più “autoriale” e di nicchia.
Diciamolo chiaramente: l’esperimento è ampiamente riuscito e i dati al botteghino, uniti all’entusiasmo della critica, sicuramente confermano la sensazione del ritorno ai grandi fasti. Gli ingredienti funzionano tutti: musiche ben realizzate, le due sorelle principesse ben delineate e i personaggi di contorno azzeccatissimi. Aggiungiamo che il romanticismo e la morale, sempre presente nei film classici Disney, vengono stemperati con una buona dose di ironia e avventura.
Meravigliose le scene che non solo riprendono l’atmosfera dei fiordi norvegesi, ma che non scadono nello stucchevole aspetto favolistico di alcuni film passati. Colpisce la scelta di tonalità scure, di chiaroscuri marcati, di scene che puntano più a una verosimiglianza che non all’esaltazione della favola. E non si può non sottolineare come anche nella descrizione dei personaggi la Disney entri definitivamente nel nuovo millennio, con principesse dal comportamento nettamente più naturale e non dipendente dalla ricerca del “principe azzurro”, ma in maniera più spontanea e “normale” rispetto al macchiettistico rifiuto di Merida (The Brave).
Insomma, possiamo giustamente chiederci se dopo il “Rinascimento Disney” con cui si descrive il decennio che va dal 1989 al 1999, periodo costellato di tanti splendidi gioielli di animazione – se dopo il periodo d’oro della Pixar (che sembra paradossalmente soffrire un momento di stanca) –, non stia arrivando un nuovo periodo glorioso della Disney. Sicuramente non possiamo che augurarcelo.