Dichiaro subito una sorta di conflitto di interessi: amo il cinema di Paolo Virzì e lo considero uno dei migliori registi italiani. Meglio avvisare immediatamente quando si parte prevenuti: ritengo sia una base di onestà intellettuale, anche quando l’essere prevenuti è, al contrario, in senso negativo e porta a criticare l’ultimo film per la rappresentazione della Brianza. Perché solo una certa disonestà intellettuale può vedere in questo film una rappresentazione negativa della Brianza.
Il capitale umano è in primis un thriller noir che fonda radici profondissime nel cinema europeo, profonde e antiche. Una famiglia alto borghese, una che aspira (più o meno in maniera convinta) ad essere tale, un povero ragazzo stritolato dal sistema. Fondamentalmente questo è il quadro di una pellicola che, se fosse stata girata in Francia una ventina di anni fa, avrebbe probabilmente avuto la regia di Claude Chabrol e la celebrazione da parte della critica europea.
Il capitale umano è cinema allo stato puro, conoscenza dei tempi, della narrazione, del sapiente uso della penna per la sceneggiatura e scelta di attori eccezionali. Raccontato in quattro capitoli, con una nota tecnica di rianalizzare lo stesso avvenimento da diversi punti di vista, come in un novello Rashomon (Akira Kurosawa, 1950), il film getta uno sguardo sulla nostra società, tra vittime e carnefici, rendendo la linea di demarcazione tra le due classi molto labile.
Un incidente stradale: un giovane cameriere in bicicletta va fuori strada, chi lo investe non si ferma a soccorrerlo. Chi c’era in quella macchina?
Attraverso questa situazione Virzì ci racconta, con meno ironia e leggerezza del solito, la nostra società: tra famiglie rampanti e vittime della propria voglia di affermazione, piccoli uomini mediocri che aspirano a quella ricchezza che con le loro capacità non potrebbero permettersi, giocando d’azzardo sulla propria vita (e quella dei propri cari), giovani fragili schiacciati dalla società e vittime reali, i più deboli e incapaci di giocare in maniera aggressiva con gli altri, così incapaci da riversare l’aggressività su se stessi. Attorno, un coacervo di personaggi minori e ben descrittivi di certe aree del Paese: intellettuali snob e radicali, attrici fallite che si accompagnano a ricchi imprenditori, politici…
Non è un film che fa sperare, purtroppo no, e la critica ad una certa borghesia e a quell’atteggiamento privo di scrupoli che dimentica la persona e pone il capitale (non umano) al centro della propria vita diventa feroce, feroce ma purtroppo anche pessimisticamente arresa.
Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto.