Continua a farsi sentire nella nostra penisola il problema dell’impunità, legata a doppio filo all’aumento dei procedimenti giudiziari andati in prescrizione. Tanti, troppi i processi non arrivati a conclusione in Italia: quasi uno su dieci secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia. È così che la stessa prescrizione, baluardo del sistema garantista continentale, si trasforma in un’arma a doppio taglio. Se da un lato, infatti, tale istituto tutela il diritto dell’imputato ad un giusto processo in tempi ragionevoli, dall’altro potrebbe consentire all’imputato stesso di mantenere pulita la fedina penale.
La prescrizione si fonda sul fatto che l’ordinamento perde interesse all’irrogazione e all’espiazione della pena quando sia trascorso un notevole lasso di tempo. Ed è proprio questo tempo decorso a determinare, appunto, l’estinzione del reato. Ma quanti anni devono trascorrere affinché un illecito penale cada in prescrizione?
La “legge ex Cirielli” stabilisce che “il tempo necessario a prescrivere il reato è corrispondente al massimo della pena edittale comminata dalla legge”, non potendo comunque mai essere “inferiore a sei anni per i delitti” (reati maggiori) e “a quattro per le contravvenzioni” (reati minori). È la stessa riforma penale voluta dalla maggioranza berlusconiana nel 2005, però, a finire ripetutamente nell’occhio del ciclone per un netto taglio dei tempi di prescrizione. Il risultato complessivo dato dall’approvazione della norma, infatti, è che mentre per i reati gravi che hanno pene elevatissime (reati di droga) la prescrizione è diventata lunghissima, è stata invece drasticamente ridotta per la maggior parte degli illeciti penali (corruzione). Un taglio così netto da portare il presidente dell’Anac (Autorità “anti-tangenti”) Raffaele Cantone a parlare della riforma berlusconiana come di un “incentivo alla corruzione”. Un sistema che porta l’imputato a confidare nella lentezza della giustizia penale per rimanere impunito piuttosto che nel patteggiamento quale applicazione di una pena mite, ma certa. Un intreccio legislativo che, pur mirando a combattere la lunghezza dei processi, ottiene l’effetto contrario intasando maggiormente il sistema giudiziario italiano.
Riforma della prescrizione
Necessaria, dunque, al fine di consentire lo sblocco giudiziario ed un rapido smaltimento dei processi in corso, è una riforma della prescrizione che consenta di interrompere il decorso della stessa almeno a partire dal primo grado di giudizio, in attesa della sentenza definitiva; così come auspicato dal Partito Democratico (PD). Ideale sarebbe far coincidere l’interruzione della prescrizione con il rinvio a giudizio secondo la proposta del Movimento Cinque Stelle (M5S), prendendo così esempio dai cugini francesi.
Ciò che appare chiaro è che ancora una volta le ideologie contrapposte delle varie correnti politiche tengono fermi i lavori parlamentari. Questa volta più di altre, però, ci sono motivi che vanno oltre il merito politico, oltre la semplice appartenenza partitica. In quel Parlamento con oltre cento persone tra indagati, imputati e condannati c’è, infatti, qualcuno che decide sul proprio futuro mentre una nazione intera attende giustizia.
Mauro Biancadoro