Tra i 4mila e i 6mila euro incassati dai politici, ogni euro di contributo vale 7 di pensione. Questo è il Parlamento italiano, ‘repubblica indipendente’ con un rendiconto indistruttibile e con un sistema pensionistico che, se appartenesse a uno Stato, sarebbe già esploso.
Dall’altro lato invece troviamo i contribuenti normali, che combattono con le aliquote Inps della gestione separata e che si trovano a versare contributi per una pensione che, probabilmente, mai arriverà.
D’altronde, come quello di altri organi costituzionali. Sebbene la riforma pensionistica che ha visto protagonisti anche i deputati, i conti provenienti dalla Camera ci riferiscono che nel 2015 i contributi versati dai politici per i loro vitalizi hanno raggiunto i sette milioni di euro.
Sempre nel 2015 la Camera dei deputati ha erogato 140 milioni di euro per il trattamento pensionistico dei deputati che hanno terminato l’incarico. Il resoconto sarebbe di uno a venti, come se il rosso dell’Inps fosse di 220 miliardi di euro. Una somma sufficientemente elevata da mandare in bancarotta tutto il Paese.
Per poter fare un confronto più preciso con i lavoratori dipendenti, è necessario tenere in considerazione la somma di contributi che, nel mondo, pagano i datori di lavoro, che sono il doppio o anche più.
Le Camere non conteggiano questi contributi in quanto il Parlamento non ricorre all’Inps né ad altri istituti di previdenza per versare le pensioni. Tutto avviene in maniera automatica, non avrebbe senso calcolare un’entrata e un’uscita della stessa somma. Dunque, la quota teorica dei deputati si eleva a 21 milioni di euro.
Cifre del genere a Palazzo Madama, luogo in cui la contribuzione porta a un calcolo di quasi 5 milioni di euro all’anno contro gli 82 milioni di imposte per il trattamento degli ex senatori. Sempre secondo il metodo politically correct, il sistema pensionistico della Camera alta prevede un resoconto tra le prestazioni e i versamenti di uno a 5,4.
Effettivamente da un po’ di anni la previdenza onorevole è diventata più generosa. Nel 2012 è stato imposto un nuovo sistema, denominato contributivo, che viene applicato completamente sugli incaricati eletti dal primo gennaio 2012 e pro rata anche per i precedenti deputati.
La novità fondamentale è che i deputati si sono conquistati il diritto alla pensione al compimento dei 65 anni e soltanto se hanno raggiunto i 5 anni di incarico e a calare fino a 60 per tutti gli altri anni di mandato.
Questa è un delle tante regole che è stata messa in secondo piano dai politici per chiarire il motivo per cui la maggior parte dei neo eletti sia difensore della scadenza naturale della legislatura. Una volta questa promozione non esisteva, le elezioni erano regolari e c’erano anche più baby onorevoli pensionati.
Le normative delle pensioni della Camera dei deputati prevedono una quota dell’8,8% lordo. Quasi niente. Nelle istituzioni, per contro, c’è il divieto di cumulo, ovvero la rendita viene sospesa nel caso in cui il deputato accede a un altro organo elettivo.
Le pensioni dei deputati ammontano a ben cinquemila euro al mese. Inoltre, tutti coloro che hanno più anni di legislatura superano queste cifre, come il ministro Rutelli che arriva a ben 6.400 euro lordi mensili o Violante, a quasi seimila euro.
Molti altri sono i deputati che raggiungono elevate somme di vitalizio. Oltre ciò, i deputati pensionati appartengono a una categoria particolare e, nel calcolo della Camera, è presente anche una voce a copertura delle somme che dichiarano, quasi 900mila euro annui.