22 dicembre 1947: il giorno che segnò la definitiva rottura con il ventennio fascista, il giorno in cui i sudditi divennero cittadini, il giorno in cui fu approvata la Costituzione della Repubblica italiana. Non una semplice legge, ma la “legge delle leggi”. Una Carta in cui si mescolano le grandi tradizioni che sono rappresentate in Assemblea Costituente eletta il 2 e 3 giugno 1946: cattolico-democratica, liberale, repubblicana-azionista e social-comunista.
La Costituzione nasce da un comune accordo, dall’incontro e lo scontro tra forze politiche che nulla avevano in comune se non la voglia di dare al popolo “una casa dove possa sentirsi al sicuro”, come dirà in seguito Oscar Luigi Scalfaro. Il risultato non sarà un documento che esprime il volere di pochi, ma un testo che mette nero su bianco la volontà dei cittadini grazie al lavoro dei più grandi costituzionalisti italiani dell’epoca.
Costituente incostituzionale
La stessa cosa non può dirsi del risultato raggiunto dalla “nuova costituente”, che ha lavorato in totale assenza di liceità e legittimazione democratica fin dai suoi albori, avendo assunto l’impegno di modificare la nostra Carta fondamentale su mandato del presidente della Repubblica (ora ex) Giorgio Napolitano. Non esiste, infatti, fra i poteri costituzionali del Capo dello Stato di cui all’art. 87 Cost., quello di adottare un proprio indirizzo politico condizionando i lavori parlamentari, essendo egli organo “super partes”, estraneo al gioco dei partiti politici.
Come se ciò non bastasse, a minare la legittimità della riforma costituzionale che porta il nome della ministra Boschi, ci ha pensato lo stesso organo garante della Costituzione con la sentenza n.1 del 2014. Con tale decisione la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità della legge elettorale n.270 del 2005 (c.d. Porcellum), definita “una porcata” dallo stesso firmatario Roberto Calderoli (Lega Nord). La norma, a detta della Consulta, mina gravemente il principio di rappresentanza non consentendo all’elettore di poter esprimere una preferenza tra i candidati in virtù delle c.d. liste bloccate. Lede, inoltre, il principio di eguaglianza del voto con la previsione di un premio di maggioranza svincolato dal presupposto di una soglia minima di voti.
La Corte specifica, però, che tale sentenza non impedisce al Parlamento di lavorare e non travolge gli atti compiuti precedentemente in virtù del principio di continuità dello Stato. Nel fare ciò, tuttavia, i giudici fanno riferimento a due esempi di applicazione di tale principio: la prorogatio delle Camere scadute e la possibilità delle Camere sciolte di essere convocate per la conversione dei decreti legge. Secondo il professor Alessandro Pace, in entrambe le ipotesi il principio di continuità dello Stato non opera per più di tre mesi.
È abominevole pensare come un’assemblea eletta con una legge dichiarata incostituzionale, ignorando le decisioni assunte dall’organo garante della Costituzione, si sia arrogata il diritto di poter modificare a proprio piacimento ben 47 articoli su 139 della nostra legge fondamentale. Totalmente disattese, dunque, le parole del presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini, che in quel 22 dicembre 1947 disse: “L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore”.
Mauro Biancadoro