Negli ultimi anni, quando si parla di cannabis si potrebbero scrivere pagine e pagine. Questa pianta, infatti, è stata al centro di tantissime novità, tra le quali è possibile citare la Legge 242/2016, che ha legalizzato l’utilizzo e la commercializzazione della cannabis light, caratterizzata da una percentuale di THC compresa tra lo 0,2 e lo 0,6.
Quando la si nomina, è bene ricordare che si tratta di un ambito diverso da quello della marijuana terapeutica. In merito a quest’ultima, nonostante siano passati anni da quando è diventata legale, girano ancora numerosi luoghi comuni e incertezze. Nelle prossime righe, abbiamo riassunto tutto quello che si deve sapere in merito.
Cosa si intende per marijuana terapeutica?
Quando si parla di marijuana terapeutica, almeno per quanto riguarda l’ordinamento italiano, si chiama in causa una tipologia di cannabis nota come FM-2. Entrando nel vivo delle sue caratteristiche, ricordiamo che la percentuale di THC è compresa tra il 5 e l’8%. Quella di CBD, invece, va dal 7,5 al 12.
La cannabis terapeutica in questione è prodotta in Italia tenendo conto di un processo controllato in ogni dettaglio. Il tutto, avviene chiaramente presso un’officina farmaceutica autorizzata dall’AIFA e situata a Firenze (si tratta dell’Istituto Militare del capoluogo toscano).
Anche per quanto riguarda la distribuzione ci sono dei riferimenti specifici: il processo in questione, infatti, può essere concretizzato solamente dall’Organismo Statale per la Cannabis che, a sua volta, fa riferimento al Ministero della Salute.
Fondamentale è inoltre ricordare che, presso alcune farmacie italiane, è possibile trovare un prodotto galenico a base di marijuana terapeutica. Per quanto riguarda la percentuale di THC, facciamo presente che è pari al 19.
Marijuana terapeutica: cosa dice la legge italiana in merito alla somministrazione
Quando si discute di marijuana terapeutica, un’ampia parentesi deve essere dedicata ai riferimenti normativi relativi alla somministrazione dei farmaci che la contengono. La prima cosa da dire a proposito è che la marijuana terapeutica può essere assunta nelle seguenti modalità:
- decotto;
- assunzione di olio;
- vaporizzazione.
Per quanto riguarda il dosaggio, non esistono riferimenti validi per tutti. La legge, infatti, consente al medico di muoversi tenendo conto della propria discrezione sulla base delle condizioni del singolo paziente. A tal proposito, un aspetto cruciale da ricordare riguarda il fatto che il medico, nei casi in cui si opta per la somministrazione orale, è tenuto a fornire al paziente delle indicazioni precise in merito alla quantità di acqua da utilizzare.
Indicazioni
A questo punto, è naturale chiedersi quali siano le indicazioni per la somministrazione di cannabis terapeutica. Ecco le principali:
- necessità di alleviare dolore sia oncologico sia non;
- disturbi associati a patologie croniche, come per esempio la sclerosi multipla;
- necessità di gestire gli effetti collaterali della chemioterapia o della radioterapia.
Inoltre, la cannabis terapeutica può essere prescritta per alleviare la sintomatologia dolorosa di malattie come la fibromialgia o l’artrite. Diversi studi scientifici hanno individuato l’efficacia della marijuana terapeutica come soluzione per stimolare l’appetito in caso di anoressia.
Conclusioni
Sono numerose le domande da porsi in merito alla cannabis terapeutica. Tra queste, troviamo gli interrogativi relativi a chi può prescrivere la cannabis terapeutica. La legge italiana consente di farlo ai medici che lavorano in ospedale presso i reparti di anestesia.
Possono prescrivere la marijuana terapeutica i medici specializzati in terapia del dolore, in neurologia, in malattie infettive. Da non dimenticare è anche la possibilità di prescriverla da parte degli psichiatri e da chi si occupa di cure palliative. I riferimenti normativi prevedono una terapia della durata minima di sei mesi, rinnovabili. La prescrizione iniziale deve avvenire in ospedale. Successivamente, il paziente deve richiedere la ricetta rossa al medico di famiglia.