Dopo il Dpcm del 13 e 18 ottobre, la ministra della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, ha incentivato ad attuare lo smart working nel settore pubblico almeno per il 50%, sempre nel caso che le strutture siano dotate di adeguata capacità organizzativa e, soprattutto, digitale. La modalità del lavoro agile è, infatti, un ottimo modo per cercare di contrastare la diffusione della pandemia e di ridurre gli aumenti dei casi positivi, senza venir meno alla necessità di continuità nell’erogazione dei servizi pubblici.
Smart working e lavoro in ufficio
Lo smart working sarà accompagnato dal lavoro in presenza, che avverrà a rotazione, anche plurisettimanale. Si continuerà a tener conto dei vari criteri di priorità, come le condizioni di salute del dipendente e dei componenti del suo nucleo familiare, la presenza di figli di età inferiore ai quattordici anni e la distanza tra la zona di residenza e la sede di lavoro.
Smart working nel settore privato
Per quanto riguarda il settore privato, il Governo consiglia alle aziende private di attuare le modalità di smart working per una percentuale del 75%, ma non esiste nessun obbligo. Infatti non c’è nessuna disposizione che vincola le aziende, di qualsiasi settore, ad attuare organizzazione di lavoro agile.
Tuttavia, nel caso in cui si verifichino delle situazioni in cui non vengano rispettate le norme di sicurezza presenti nel Dpcm, come la sanificazione degli ambienti, l’uso di mascherine e distanziatori, il lavoratore del settore privato può rifiutare di essere presente in ufficio.