Lo smart working ha visto un importante incremento a causa del Covid e del lockdown. Molti sono i lavoratori che hanno potuto provare queste nuova modalità lavorativa che, all’estero, è una realtà a tutti gli effetti.
Come funziona oggi
I buoni pasto possono essere forniti ai lavoratori a tempo pieno, parziale o con rapporto di lavoro subordinato, e che comunque non abbiano a disposizione una mensa. Tuttavia i buoni pasto non sono obbligatori e rimangono una scelta del datore di lavoro, a meno che non rientrino in contratti collettivi o nella contrattazione di secondo livello o individuale.
Cosa dice la legge
Le norme che regolano lo smart working in Italia sono piuttosto recenti. Secondo la legge 81 del 2017, “Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”.
Quindi ogni azienda può decidere se concedere in smart working i buoni pasto, l’importante è stabilirlo nell’accordo stipulato tra dipendenti e datori di lavoro. Quando il contratto riconosce l’indennità sostituiva anche a chi non utilizza il servizio mensa, il buono pasto diventa una sorta di retribuzione anche a chi lavora in smart working.
La sentenza del Tribunale di Venezia
Potrebbe creare un precedente la sentenza del Tribunale di Venezia in tema di smart working. La sentenza n.1069 è del luglio 2020 e ha riconosciuto la legittimità a sospendere l’erogazione dei buoni pasto da parte del Comune di Venezia ai dipendenti in smart working perché, per questa tipologia di lavoro, non sono previsti orari di lavoro fissi e questo fa venire meno il presupposto per cui il buono non può essere usato fuori dall’orario di lavoro.