Le rivalutazioni degli assegni delle pensioni dovevano tornare ad essere più generosi già dal 1° gennaio del 2021, ma una mossa del Governo ha prorogato la data al 1° gennaio 2022. Il blocco delle rivalutazioni e i tagli, comunque, si faranno sentire nel lungo periodo: ecco quanto si perde davvero.
Pensioni, taglio degli assegni e rivalutazioni
L’Istat adegua annualmente il livello dell’inflazione agli assegni sulle pensioni, facendo in modo da lasciare inalterato il potere di acquisto delle stesse. Per quest’anno, però, pare non vi saranno perequazioni.
Fino al 2019 il meccanismo era il seguente:
- per le pensioni superiori a 3 volte il minimo la rivalutazione era del 97%,
- per le pensioni con importi compresi tra 4 e 5 volte il minimo la rivalutazione era del 77%,
- per le pensioni con importi compresi tra 5 e 6 volte il minimo la rivalutazione era del 52%,
- per le pensioni con importi oltre 6 volte il minimo la rivalutazione era del 47% oltre 6 volte,
- per le pensioni con importi oltre 8 volte il minimo la rivalutazione era del 45%
- per le pensioni con importi oltre 9 volte il minimo la rivalutazione era del 40%.
Con la Legge di Bilancio del 2019, però, le pensioni con importi fino a 4 volte il minimo sono state rivalutate al 100%.
Quanto si perde davvero?
Il freno sulle rivalutazioni degli ultimi 8 anni, comunque, ha generato una perdita totale pari a 1.000 euro l’anno. Le ultime rivalutazioni, infatti, risalgono al 2011. Nel frattempo, però, la Consulta ha bocciato il contributo di solidarietà per cinque anni per le pensioni d’oro.
Ciò significa – come aveva detto tempo fa la Uil – che un pensionato che percepisce un assegno da 1.568 euro l’anno, la perdita si traduce in 960 euro all’anno. Più aumenta l’importo e più è cospicuo lo scippo: per chi percepisce 1.960 euro al mese lordi, infatti, la perdita sarà di 1.490 euro l’anno.