La EY, dopo la fine del primo lockdown, ha realizzato uno studio relativo ai finanziamenti delle infrastrutture strategiche in Italia. Il network di consulenza e revisione, uno dei maggiori nel campo, ha evidenziato come molti fondi di investimento vogliano investire nel nostro paese. Le infrastrutture strategiche, infatti, hanno un duplice vantaggio: creano ricchezza e occupazione. Nel mondo le infrastrutture rappresentano un elemento importante per far ripartire l’economia. In Italia, rispetto al resto d’Europa, c’è un ampio divario fra i progetti in cantiere e quelli da realizzare.
Investire in infrastrutture strategiche: per aumentare ricchezza e occupazione
La stima della EY dimostra che in Italia si investono in infrastrutture tra i 125 – 130 miliardi, soldi sia pubblici che privati. Ma non basta. Per soddisfare i reali bisogni del paese, da qui al 2040, mancano all’appello 370 miliardi di investimenti per coprire i reali bisogni del nostro paese. Il buco da colmare, secondo le stime del Global Infrastructure Outlook del G20, è di oltre 18 miliardi l’anno. Negli altri paesi europei la situazione è ben diversa. Il gap, infatti, fra le opere pianificate e finanziate, e quelle che realmente servono hanno una cifra differente:
- in Germania è di 36,4 milioni l’anno;
- in Francia mancano 500 milioni, che si traducono in 10 miliardi in venti anni;
- in Spagna è meno di 3 miliardi l’anno;
- in Gran Bretagna servono 7,4 miliardi l’anno;
- in Polonia è di 4,5 miliardi l’anno.
Il resto del mondo per mettersi in pari dovrebbe investire 750 miliardi in più ogni anno, fino al 2040. In Italia chiudere questo “buco” da 373 miliardi vale fino a 250 miliardi di Pil e all’incirca 2,5 milioni di posti di lavoro. Questo è ciò che stimano McKinsey e Ispi.
Investire in infrastrutture strategiche: la mobilità
La nota del governo, del 6 luglio 2020, sulle infrastrutture mette in risalto che gli investimenti in mobilità valgono 190 miliardi. La mobilità viene intesa a 360°: da quella da potenziare a quella che deve subire manutenzione, fino a quella da rendere smart ed ecologica.
Le opere prioritarie, secondo questo piano, sono circa un centinaio e richiederebbero un decennio per diventare realtà.
Investire in infrastrutture strategiche: maggiori investimenti nel sociale e nella tecnologia digitale
L’Italia per diventare un paese “veloce” e moderno deve investire in tecnologia digitale. Sui 28 paesi membri della UE, noi ci classifichiamo al 24° posto per quanto riguarda la digitalizzazione.
Occorrono anche investimenti nel sociale. Noi siamo il paese con il più alto numero di anziani e con la più alta aspettativa di vita, ma siamo anche i meno attrezzati nella loro assistenza.
Investire in infrastrutture strategiche: le risorse disponibili
Lo studio della EY rileva, inoltre, come l’Italia abbiamo utilizzato, tra investimenti pubblici e privati per le infrastrutture, una cifra pari al 7% circa del Pil. Le cose potrebbe essere diverse nel 2020, visto che le risorse attualmente in campo potrebbero arrivare fino all’8,3% del Pil. Rispetto al 2019 c’è un crescita sia della componente pubblica che di quella privata. Dei 125-130 miliardi a disposizione a tutt’oggi, una novantina provengono da investitori privati.
Investire in infrastrutture strategiche: le raccomandazioni di Bruxelles per avere i fondi
I fondi sarebbero pronti, ma da Bruxelles arrivano le ultime raccomandazione: occorre semplificare la burocrazia, ridurre i tempi della giustizia (penale e civile), attivare un piano efficace contro la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale. Condizioni imprescindibili e urgenti.
Bisogna, inoltre, intervenire sulla riforma del mercato del lavoro (ridurre la tassazione, introdurre nuove misure di tutela per i lavoratori atipici), dell’istruzione e della formazione professionale (in particolare sulle competenze digitali).
C’è chi è pronto a investire, con capitale privato, nel nostro paese ma, tra gli ostacoli, c’è anche la nostra instabilità politica e regolatoria. Per avere i fondi, già disponibili, l’Italia deve mettere in pratica le riforma che l’Europa chiede da tempo.