L’emergenza di Covid-19 ha reso indispensabile sfruttare forme di smart working per contrastare la diffusione del virus. Se alcuni stanno soffrendo la non presenza in ufficio, molti lavoratori e molte aziende hanno mostrato di gradire la nuova gestione del lavoro da remoto, tanto da pensare di continuare a usufruire di questa nuova modalità anche dopo la fine della pandemia.
Più smart working, meno lavoro in ufficio
Secondo il report redatto da Deutsche Bank, in America, il numero effettivo delle persone che aveva scelto di lavorare da casa era circa del 5,4%, con un incremento del 173% tra il 2005 e il 2018. Con l’avvento della pandemia globale questa crescita è aumentata ulteriormente. Questa soluzione, nata in molti casi come una situazione d’emergenza, si è rilevata una maniera lavorativa molto apprezzata non solo dal personale ma anche dalle imprese. Infatti, come riportato dall’indagine di S&P Global Markets, due terzi delle organizzazioni affermano che, in futuro, almeno tre quarti del personale lavoreranno da casa. Allo stesso modo più della metà delle persone che ha provato lo smart working vorrebbe continuare questa modalità permanentemente, per due o tre giorni la settimana.
I vantaggi dello smart working
La situazione lavorativa che si inizia a delineare comporta significativi cambiamenti nel panorama economico. L’improvviso passaggio allo smart working ha creato una categoria di lavoratori a distanza che, sebbene ricevano gli stessi benefici lavorativi di prima, adesso di fatto contribuiscono meno all’infrastruttura economica circostante. Tendenzialmente chi lavora da remoto spende meno e, soprattutto, costa meno alle aziende. Lo smart working è finanziariamente gratificante, facendo ridurre, alle imprese, i costi e gli uffici, e facendo risparmiare il lavoratore su varie spese legate al viaggio, pasti, vestiti. Inoltre esistono anche dei vantaggi intangibili che il lavoro da casa porta con sé, come la maggiore sicurezza, comodità e flessibilità del lavoro.
Tassare lo smart working come soluzione
Per far fronte al rinnovarsi delle abitudini economiche, il report di Deutsche Bank suggerisce che, una volta venuti meno tutti gli obblighi e le necessità derivanti dall’emergenza Covid, si possa decidere di imporre una tassa del 5% sul lavoro a distanza, in modo da poter sostenere i lavoratori più vulnerabili, che, invece, contribuiscono maggiormente all’economia, facendo uso, per esempio, dei trasporti pubblici o di altri servizi connessi al loro impiego. Da questa misura sarebbero esonerati, però, i lavoratori autonomi e coloro che hanno un reddito basso. L’imposta, proposta dallo strategist Luke Templeman, sarà versata dal datore di lavoro, qualora scegliesse di optare unicamente per modalità di lavoro a distanza, mentre, se sarà lo stesso dipendente a preferire il lavoro da remoto, lui stesso provvederà al pagamento della tassa, che verrà decurtata dal proprio stipendio per ogni giorno di smart working effettuato.
Per esempio, negli Stati Uniti lo stipendio medio di una persona che sceglie di lavorare da casa è di 55.000 dollari, perciò una tassa del 5% equivale a poco più di 10 dollari a giorno lavorativo. Stesso meccanismo può essere usato nel Regno Unito, dove lo stipendio medio in smart working è di 35.000 sterline e l’imposta avrebbe un valore di poco meno di 7 sterline, e in Germania, dove lo stipendio medio di un lavoratore da remoto è di circa 40.000 euro e la tassa arriverebbe a poco più di 7,50 euro al giorno.