Un anno fa la stampa americana annunciava la morte di Kobe Bryant e della figlia nell’incidente aereo datato 26 gennaio 2020. L’ex fuoriclasse dei Lakers, soprannominato Black Mamba, aveva 41 anni mentre Gianna Maria solo 13 (Gigi, molti la chiamavano così).
La tragedia e lo schianto sulle colline di Calabasas
Nell’elicottero che si è schiantato sulle colline di Calabasas, in California, morirono altre sette persone. La destinazione era la partita di basket giovanile del torneo della figlia di Bryant, che vestiva la maglia della Mamba Sports Academy. La stella del basket usava spesso l’elicottero per spostarsi ed evitare il traffico. Il rapporto finale sull’incidente chiarisce che il pilota, il 50enne Ara Zobayan, non aveva assunto alcol o droghe. Lo schianto si è verificato a causa di una fitta nebbia mentre l’elicottero viaggiava a 184 miglia orarie.
La vedova del 18 volte NBA All-Star, Vanessa, lancia un appello importante sui social rivolto a tutta la stampa: quello di non trasmettere durante la programmazione per l’anniversario del marito e la figlia qualsiasi immagine relativa allo schianto. “Il nostro anno – si legge nel post su Instagram della donna – è stato sufficientemente traumatico. Non vogliamo vedere scene dell’incidente”.
Il ricordo di Kobe Bryant e Gigi sui muri di Los Angeles
Mentre i writers hanno decorato alcuni muri della città con opere gigantesche e colorate in onore di Kobe e della figlia Gianna, i Lakers non hanno in programma alcun tributo.
I giocatori non hanno indossato l’uniforme ‘Black Mamba’ durante l’incontro a Cleveland (o di Philadelphia in programma giovedì 28), perché per tutti la sua scomparsa è una ferita ancora aperta. “Dicono – ha commentato LeBron James – che il tempo guarisce le ferite. Per quanto devastante e tragica è stata, e lo è ancora per tutti noi, solo il tempo aiuterà. E ci vorrà ancora tempo”. Il playmaker gli rende onore in campo: con ben 46 punti (più 6 assist e 8 rimbalzi), ha guidato i Lakers alla vittoria contro i Cleveland Cavaliers, sul tabellone il punteggio finale segnava 108-115.
Kobe Bryant e l’Italia
Dai 6 ai 13 anni il giovane Kobe Bryant ha vissuto in Italia seguendo il padre Joe, cestista (era giocatore professionista nella prima squadra reggiana). Nel 2010 disse che gli sarebbe piaciuto chiudere la sua carriera in Italia: “Ho tanti amici a Reggio Emilia e Milano. È un sogno che mi piacerebbe realizzare”.
Reggio Emilia ha infatti intitolato a Bryant la nuova piazzetta che si affaccia su via Guasco. “Era uno di noi: qui, e nei campetti della città, improvvisava sfide con atleti più grandi di lui, con i compagni di scuola. Il suo sorriso, il suo amore per il basket ci sono entrati dentro e un po’ di Reggio Emilia era entrata per sempre in lui, come ci aveva raccontato qualche anno fa tornando nella nostra città, che lui chiamava ‘casa'”, ha scritto il sindaco della città Luca Vecchi in un post su Facebook, concludendo: “Riposa in pace Kobe, Reggio Emilia non ti dimenticherà”.
Kobe Bryant non solo era considerato uno tra i migliori giocatori della storia dell’NBA ( ha conquistato ben 5 titoli con i Lakers, più due ori olimpici con la nazionale Usa), ma anche un personaggio amato in tutto il mondo per la sua generosità e gentilezza ma soprattutto per il suo attivismo. Un esempio per molti, spesso schierato contro la polizia violenta nei confronti degli afro-americani, promotore dello sport giovanile come strumento di emancipazione, Bryant è diventato così un punto di riferimento per intere comunità di emarginati.
Kobe non poteva fare a meno di vincere
Il grande cestista innamorato dell’Italia vinse il Premio Oscar nel 2018 con il regista e animatore della Disney Glen Keane, nella categoria miglior cortometraggio d’animazione per Dear Basketball, da lui sceneggiato ispirandosi alla sua lettera di addio al basket, epico congedo dal parquet nel 2016. Ora la sua vita è sulle pagine del libro scritto dal 40enne autore friulano Simone Marcuzzi adesso in libreria, Kobe. La meravigliosa, incredibile e tragica storia del Black Mamba.