L’Italia è un sistema multipartitico. Ogni partito rappresenta l’interesse comune ai propri elettori. Per compiere la propria azione politica hanno però bisogno di finanziamenti.
Tipologie di sistemi partitici
Un partito politico è un’associazione tra persone accomunate da una medesima visione, identità e finalità politica di interesse pubblico. L’attività del partito politico si esplica attraverso la definizione di un programma politico da perseguire, relativo alla gestione dello Stato e della società o a temi specifici.
I vari sistemi partitici esistenti sono:
- monopartitici, che caratterizzano i regimi detti “a partito unico” come lo sono stati il fascismo in Italia, la Germania nazista, la Spagna franchista e l’URSS;
- bipartitici, tipici del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America;
- multipartitici, contraddistinti da coalizioni eterogenee.
Indipendentemente dalla tipologia di sistema partitico, ogni partito ha bisogno di essere finanziato per poter compiere al meglio la propria attività di propaganda.
Come si finanziano i partiti politici?
I partiti politici si assicurano i fondi necessari a finanziare le proprie attività attingendo a tre principali categorie di risorse:
- autofinanziamento, che comprende le quote corrisposte dagli affiliati tesserati;
- finanziamento da privati, cioè erogazioni provenienti da individui o associazioni private;
- finanziamento pubblico ai partiti.
Sono infatti molti gli ordinamenti che hanno introdotto forme di finanziamento pubblico. I fini principali sono quelli di salvaguardare l’uguaglianza delle possibilità per tutti i candidati nella competizione elettorale, di contrastare forme di finanziamento illecito e di garantire lo svolgimento delle funzioni partitiche riconosciute costituzionalmente.
Il finanziamento pubblico diretto ai partiti è previsto nella maggioranza degli ordinamenti europei. In alcuni Stati costituisce la primaria risorsa di sostentamento dei partiti, mentre in altri esso è sostanzialmente irrilevante, come accade in Gran Bretagna.
Le risorse da stanziare possono essere stabilite dalla Costituzione o dalla legislazione ordinaria. Generalmente sono erogate dalla legge di bilancio e sono scomponibili in tre categorie:
- rimborso delle spese sostenute dai candidati in campagna elettorale (rimborsi elettorali);
- finanziamento delle strutture di partito (finanziamento diretto);
- finanziamento delle attività degli eletti in Parlamento (finanziamento ai gruppi parlamentari).
Finanziamento pubblico in Italia: sviluppo della normativa
In Italia il finanziamento pubblico ai partiti è stato introdotto dalla legge del 2 maggio 1974 n. 195, chiamata Legge Piccoli. Tuttavia imponeva l’obbligo di presentazione di un “bilancio” da pubblicare su un quotidiano e da comunicare al Presidente della Camera, che esercitava un controllo formale, assistito da un ufficio di revisori.
Le prime modifiche nella disciplina del finanziamento pubblico vengono introdotte dalla legge n. 659 del 18 novembre 1981. In questa occasione i finanziamenti pubblici vengono raddoppiati, ma è anche stabilito che i partiti debbano depositare un rendiconto finanziario annuale. In più, partiti e politici hanno il divieto di ricevere finanziamenti dalla pubblica amministrazione, da enti pubblici o a partecipazione pubblica.
Le cose cambiano dopo lo scandalo di Tangentopoli. Il referendum promosso dai Radicali Italiani nel 1993 ha visto il 90,3% dei voti a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti.
Questi saranno reintrodotti solo con la legge n. 157 del 3 giugno 1999. Nel dettaglio essa prevedeva cinque fondi rivolti alle elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, in ambito Regionale e per i referendum.
Successivamente, la legge del 6 luglio 2012 n. 96 ha ridotto a 91 milioni di euro l’ammontare del finanziamento pubblico. Inoltre il contributo figurante come “rimborso” delle spese per le consultazioni elettorali viene distinto dal finanziamento per l’attività politica. Quest’ultimo diventa contributo pubblico “a titolo di cofinanziamento”. A queste due forme di finanziamento sono assegnati rispettivamente il 70% e il 30% del totale previsto. Inoltre, riguardo al “quantum”, ciascun partito avente diritto a questa forma di finanziamento ottiene la metà delle somme acquisite annualmente tramite le quote associative e le erogazioni liberali. Tuttavia il massimo computabile è di 10.000 euro per ciascun contributo.
Infine il governo Letta ha emanato il decreto legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 13, che prevede espressamente l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, avvenuta concretamente nel 2017.